A Silvia
Giacomo Leopardi
Le vie dorate e gli orti,
E quinci il mar da lungi, e
quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Che pensieri soavi,
Che speranze, che cori, o
Silvia mia!
Quale allor ci apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotanta
speme,
Un affetto mi preme
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler di mia
sventura.
O natura, o natura,
Perchè non rendi poi
Quel che prometti allor?
perchè di tanto
Inganni i figli tuoi?
Tu pria che l'erbe
inaridisse il verno,
Da chiuso morbo combattuta e
vinta,
Perivi, o tenerella. E non
vedevi
Il fior degli anni tuoi;
Non ti molceva il core
La dolce lode or delle negre
chiome,
Or degli sguardi innamorati
e schivi;
Nè teco le compagne ai dì
festivi
Ragionavan d'amore.
Anche peria fra poco
La speranza mia dolce: agli
anni miei
Anche negaro i fati
La giovanezza. Ahi come,
Come passata sei,
Cara compagna dell'età mia
nova,
Mia lacrimata speme!
Questo è quel mondo? questi
I diletti, l'amor, l'opre,
gli eventi
Onde cotanto ragionammo
insieme?
Questa la sorte dell'umane
genti?
All'apparir del vero
Tu, misera, cadesti: e con
la mano
La fredda morte ed una tomba
ignuda
Mostravi di lontano.
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L'infinito
Giacomo Leopardi
Sempre caro mi fu quest'ermo
colle,
E questa siepe, che da tanta
parte
Dell'ultimo orizzonte il
guardo esclude.
Ma sedendo e mirando,
interminati
Spazi di là da quella, e
sovrumani
Silenzi, e profondissima
quiete
Io nel pensier mi fingo; ove
per poco
Il cor non si spaura. E come
il vento
Odo stormir tra queste
piante, io quello
Infinito silenzio a questa
voce
Vo comparando: e mi sovvien
l'eterno,
E le morte stagioni, e la
presente
E viva, e il suon di lei.
Così tra questa
Immensità s'annega il
pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in
questo mare
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